venerdì 31 agosto 2012

Pennellate di parole "Andò a riprendersela..."


Henry Delavallee Francia 1862-1943  Path In the Sun


 Andò a riprendersela...

Andò a riprendersela. Nulla aveva tra le mani. Solo ricordi e memoria. Tanti, troppa. Non poteva permettere che continuassero a tenerla per se, a farla loro solo col denaro. 
Era un giorno di primavera, uno di quelli che fai ai cazzotti con gli abiti che indossi, un momento ingombranti, quello dopo leggeri; dipende dal sole che scalda, dal vento che soffia. Aveva quell'espressione sul volto che solo lei sapeva riconoscersi. Si sentiva stanca, dopo le notti insonni passate a maturare quella decisione. Giornate di lacrime le avevano rigato le guance, gonfiato gli occhi. Consapevole, triste, determinata, una incognita  ciò che sarebbe avvenuto dopo quella giornata. 
Parcheggiò lontano l’auto, camminò il viottolo di sassi e ghiaia, intermezzo tra campi di granturco da un lato e vigne ed ulivi dall’altro. Respirò lungo e profondo senza fretta, le mani in tasca. Il colore dell’intonaco della casa si avvicinava, uguale a come lo aveva lasciato. Poi fu il giardino, immenso, più immenso da l'ultima immagine rimastele impressa. Proseguì e alle narici vennero gli odori, completando il suo riprender confidenza con quel luogo. Nel piazzale di ciottoli di fiume auto parcheggiate che non conosceva. 
Nulla era più suo ma lo sarebbe ritornato. Gli avrebbe convinti, con le sole parole a sorreggerla, con i soli ricordi, con l’amore perduto per quel posto che dentro portava. Non c’era denaro nella tasca della sua giacca, nulla di materiale con cui barattare.
Si fermò davanti al cancello più piccolo sul retro. Non poté girare la chiave che un tempo era all’interno e aprire, perché più non c'era. C’erano solo il campanello e due nomi e cognomi, noti a lei solo per la firma apportata sul rogito. Quei nomi ignoravano di quando nacque la vigna, di quell’anno in cui gelo attanagliò gli ulivi, non sapevano delle sere a metà tramonto quando lei appoggiava la schiena e la nuca al muro di casa e seguiva il sole andarsene dietro la chiesa di Carcheri.
Suonò, decisa, osando. Cosa avrebbe detto, cosa avrebbe fatto, continuava ad ignorarlo. 
Un uomo usci dalla porta, accennò un saluto, le andò incontro con aria perplessa. 
Lei cominciò a convincerlo. 
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lunedì 27 agosto 2012

Scattiscritti "Ci sono certe ore..."

...Ci sono certe ore...

...Ci sono certe ore... foto di Alessandro Fontani
 
...Ci son certe ore del pomeriggio così malinconiche. Il sole sta per tramontare, tu ii perdi nei meandri della mente, anche se il sorriso alberga sulle le labbra, anche se il giorno ti ha soddisfatto. E' il pensiero il tuo padrone, come brezza leggera ti trasporta; dove avevi dimenticato, dove futuri di andare. 

Un respiro profondo dalle narici scende piano nel torace, raggiunge lo nello stomaco. 
Nell'andarsene in fuga porta con se ogni ostacolo, sgombra il passaggio. 
Respira la mente, si ricadenza il passo...

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sabato 18 agosto 2012

Pit Stop "In un batter di ciglia"


In un batter di ciglia                                                  20 agosto 1982             20 agosto 2012


Ottavia parcheggiò un’altra volta il suo presente, lasciando che passo e pensiero la conducessero consapevole nel suo indimenticato passato. Per quasi due ore camminò senza fretta, tra calle, campielli e fondamenta veneziane, lontano dai circuiti turistici, in quella Venezia conosciuta solo dai suoi intimi abitanti. Giornata di fine novembre, umida e uggiosa. La foschia proveniente dalla laguna avvolgeva paesaggio e anima. Ottavia avvertì che il suo piede e la sua mente reclamavano ora riposo mentre lo sguardo cadeva per caso sull’insegna un po’ sbiadita di un caffè. Nell’aprirne la porta, la foschia della calle scivolò nel locale, invadendone furtiva ogni angolo segreto. Passando davanti al banco, si fermò ad ordinare alla barista dagli occhi grigi e il volto di porcellana bianca, due tazze di caffè d’orzo con una scorza d’arancio. Si sedette poi ad uno dei pochi tavolini del locale e aspettò che l’algida e silente barista le portasse l’ordinazione. Pochi gli avventori, e in pochi minuti i caffè fumanti furono depositati sul tavolo. Due, uno di fronte all’altro, due. La barista tentò inutilmente di piantare il suo sguardo interrogativo e gelidoin quello già altrove di Ottavia, ma dovette tornarsene senza alcuna risposta dietro il suo banco, tra tazze e cucchiaini. 

In un batter di ciglia lui fu lì. Lo trovò bene Ottavia, molto meglio di quell’ultima volta quando lui stava per andarsene, con quel suo viso da uccellino spaventato e quella estrema magrezza del corpo, aggrappato a quella sedia di plastica e ferro, sul terrazzo della camera dell’ospedale, in una mattina di metà agosto. Adesso stava proprio bene nei suoi settantasette anni ben portati, la testa canuta, gli occhi azzurro cielo, gli abiti da campagna. Se la mente di lei avesse potuto parlare, emettere dei suoni, quante parole ne sarebbero uscite. Ma per adesso riusciva soltanto a guardarselo rapita, a stringerlo a se con le braccia del pensiero, a imprigionarlo tutto in un immacolato ricordo. Solo questo per adesso, di più non poteva. Quell’attimo travolgente e doloroso era già troppo per poter continuare a raccontarsi. 

In un batter di ciglia di nuovo lei, soltanto lei, e i due caffè sul tavolino. Zuccherò e bevve il suo ormai troppo tiepido, mentre la foschia si diradava veloce e la barista, ora dagli occhi verde mare e la pelle ambrata, portava via dal tavolino la tazza, quella vuota. Ottavia pagò le due consumazioni e uscì. Come sempre c’era Andrea la fuori che l’aspettava, per continuare ad accompagnarla instancabile nel suo, nel loro presente.  
                                                                                                  

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venerdì 17 agosto 2012

Scattiscritti "Saper leggere una donna..."



...saper "leggere" una donna... foto di Alessandro Fontani


"savoir lire une femme"...
Camminava puntando distratto la punta del suo piede sinistro. Volavano alte le illusioni, a portata di stomaco e cuore stazionavano invece acide e sarcastiche, le frasi dell’ennesima lite. Tra le viuzze in sali scendi di Montmartre, s’imbatté in una vetrina: un manichino di donna in abito cartapesta, il corpetto attillato, la gonna a balze, pagine scritte con cura strappate, intessevano  quella insolita stoffa. 
“Savoir lire une femme” “Saper leggere una donna” tradusse in silenzio leggendo la didascalia di quell’opera d’arte in vetrina. Aggrottando la fronte tentò di dipingersi un sorriso, puntò di nuovo lo sguardo sul suo piede sinistro e riprese la strada, la stessa nel senso da cui era venuto. 

Decise che non ne sarebbe andato finché non avesse "letto lei" fino in fondo…

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giovedì 16 agosto 2012

Impressioni in penna "Leggendo Erri De Luca"




Le mie “impressioni in penna” nascono dal desiderio di far migrare nella scrittura quello che l’anima ha visto, digerito, rielaborato. Perché a modo mio resti…

"Impressioni in penna" Leggendo Erri De Luca

Da lui mi sento presa per mano e insieme a lui ogni volta viaggio, nel “suo” viaggio. La pagina finisce, la pagina si volta e mentalmente assaporo, rielaboro ogni parola, lo vedo accanto a me, cerco di rimettere insieme come posso, i suoni della sua voce. Succede, succede per via di quel suo modo di scrivere in prima persona, a voler senza volerlo sottolineare il distinguersi dalla terza, in uso dei tanti, dei troppi. 
Se hai deciso di conoscerlo, di provare ad entrarci un po’ in confidenza, leggilo nei suo libri uno dopo l’altro, ascoltatelo nelle orecchie nelle sue frasi brevi, nei tempi sospesi, in quell’andamento lento tra poesia e prosa, tra lingua “madre” (la sua), e un italiano raffinato e crudo che al bisogno preciso ritrovi. 
I suoi racconti, le sue storie, sono cantici, odissee personali, narrate da più punti di vista, diverse e contrarie tra un manoscritto e l’altro, comunque legate a doppio filo con la vita che dentro ci passa, dove testo e sotto testo si scambiano linfa vitale, si scambiano i ruoli. E’ un cammino quello che compio con lui ad ogni lettura; a volte sono al suo fianco, a volte un passo indietro, ma sempre rapita, incantata dal suo verbo, curiosa di conoscere quale sarà la prossima emozione in attesa. 
Sottolineo le sue frasi e a distanza di tempo le ricerco e rileggo quei passaggi suoi che miei si sono fatti, stimolando il mio vedere, il mio sentire di umile “artigiana scrittora”. 
Grazie menestrello della parola scritta, pittore di simboli grafici, musicista di vocali e consonanti, che all’anima fanno capo, sempre… 


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Scattiscritti "...nel crepuscolo..."

...nel crepuscolo...foto di Marco Galeotti

Insieme, l'una accanto all'altra unite in scia . Sotto il rosso s'intravede il giallo che vuol predominare.
Cielo di  Poppiano
Speranza di una battaglia vinta, forse...nel crepuscolo di un giorno che va compiendosi...

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Incontri d'arte su facebook...


E' sulla piattaforma "facebookkiana" che ho incontrato per caso ma non a caso, la pittrice Caterina Rizzo, e subito, nei suoi colori di accese sfumature pastellate, mi sono perduta...



 Riflessi...

C'era l'aria in colore quella sera, e la pioggia che fino a qualche attimo prima aveva lavato strade e cielo, dava ora una mano a tutta quella "risplendevolezza".
Zelinda si era vestita di bianco, così che le tinte sparse in ogni dove, delle loro pazze sfumature le accendessero le vesti.

Caterina Rizzo "Riflessi" la Piazza di Pizzo tec.olio su tela 150x100

In attesa immaginava il suo Neri; nell'abito spezzato, nel trench grigio fumo, venirle incontro con la passione sulle labbra e i baci in agguato,  sotto la luce del lampione arcobaleno...


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Caterina Rizzo e le sue opere 
  

Pennellate di parole "Cara Adele..."



Claude Monet La scala olio su tela Christie’s London
 
  

Cara Adele...

Cara Adele,
dopo quaranta stagioni sono tornato a Trequanda. Un salto mortale all’indietro, una catapulta, un essersi illuso di aver posto tra e me e il mio paese, la giusta distanza. E' stato come proiettarsi in un film, sentirsi attore, regista, della mia pellicola. Sono sbarcato all’aeroporto di Pisa alle 8,50, ho preso un auto a noleggio, e sono entrato nella parte. 
Ricordavo benissimo la strada di casa, ma mi sono affidato alla voce del navigatore, che come gli avevo impostato, mi ha condotto alla meta per strade provinciali. Sotto un sole in primavera e un cielo sgombro di nuvole, mi sono ripresentato a Trequanda: gli occhi nascosti da lenti scure e un berretto con visiera a riparami il volto, a proteggermi dal mostrare qualsiasi turbamento. 
"Arrivo. Arrivo."- ha scandito la voce femminile del navigatore - Ho fermato l’auto e sono sceso e ho appoggiato la schiena alla portiera e prima che ogni muscolo mi si paralizzasse, ho alzato lo sguardo sulla facciata di casa mia…

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martedì 14 agosto 2012

Pit Stop "Nulla di che..."


Rintanata tra le pareti domestiche mi dedico ad un qualcosa... L'estate si sente. Nel calore, nelle zanzare, nel torpore pomeridiano che avvolge. La campagna mi culla. Mi accudiscono il silenzio, i colori, i tramonti. La città non è poi così lontana,  quanto basta per andarla a vivere solo se ne ho voglia. Da quando le scuole sono chiuse, la mattina si è fatta ancor più sonnolenta; il traffico è diminuito e si odono di nuovo i piccoli rumori dei campi e degli animali che li popolano.
Quando è stato?...Giovedì, venerdì forse, che camminando da queste mie parti  ho dato uno sguardo intorno e mi son sentita al posto giusto. Giusto per me. A volte sbagliando si da per scontato il luogo dove abitiamo, perchè le nostre dimore, pur umili e piccole che siano, non sono mai né formicai, o  dormitori, ma hanno un'anima, respirano, e lasciano ancora che loro porte rimangano aperte...
Quasi, quasi ora esco, mi avvio per una breve passeggiata. Si può fare. Troverò volti in rientro conosciuti e viottoli meno trafficati ad accogliermi. Dopo, passerò la "pomarola", cuocerò le zucchine comprate in maremma, apparecchierò la tavola... Nulla di che, cose normali, quotidiana routine.
Ma, si vede che stasera mi andava di alleggerirmi  i pensieri che son sempre troppi. Per un poco  li deposito nell'angolo, tanto so bene come quando, andarli a riprendere...


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Pennellate di parole "Un giorno"


Sogni Vittorio Corcos 1896 Galleria Nazionale d'Arte Moderna  e contemporanea di Roma

Un giorno

Alle 6,55 di ogni giorno feriale,  Aimo si sedeva sulla panca di legno della pensilina del tram  di Viale Petrarca, in attesa del numero 12, che alle 7,10 lo avrebbe condotto all’Istituto d’arte Modigliani, scuola con passione frequentata. Su quel viale di pioppi  si affacciavano le dimore antiche della sua piccola cittadina, testimoni immobiliari di un centro storico  ancora ben conservato. Una periferia sobria ed efficiente sviluppatosi intorno come una raggiera, non creava disturbo.   
Da tempo Aimo giungeva alla fermata con lo stomaco in subbuglio, le guance,  il cuore in tumulto. Dall’altra parte del viale stessa altezza, stessa pensilina, alla solit’ ora arrivava lei.
Trafelata, la chioma ondulata arruffata sulle spalle, neve la pelle del volto, gli occhi diamanti, di grigio e d’azzurro, gli abiti morbidi a nasconderle le forme del corpo che non s’immaginava.
Pochi erano i minuti lasciati ad Aimo per quella visione mattutina, ma riusciva a farseli bastare, a imprimerli nella mente e nell’anima,  a conservarli quasi intatti fino al giorno successivo.

Un giorno a “Lei” dette un nome,  che a nessuno confessò, le costruì addosso una storia che solo lui conosceva, la immaginò più volte, proiettata in altra era e in altro luogo distante. Tentò di analizzare il  suo sguardo perso nel nulla ma che oltre quel nulla tutto e tutti osservava. Assorta nei suoi pensieri, nei sogni, troppi intimi e profondi per essere svelati.

Andò in primavera il tempo, l’aria si fece mite, di foglie nuove e verdi si caricarono i pioppi del viale.
Vederla soltanto per quei pochi minuti ad Aimo non bastò più.
Un pomeriggio di sole mentre disteso sul letto la pensava, prese foglio, matita, colori e la disegnò, così come solo lui l’aveva in un tempo non loro, immaginata. Lontano da occhi indiscreti nascose quel ritratto d’amore tra le pile di libri che invadevano la scrivania. Un giorno, con un coraggio che ancora ignorava,  avrebbe consegnato il disegno alla sua destinataria; attraversando il viale tra la gente incuriosita,  con i battiti del cuore a risuonargli nelle orecchie.
Un giorno…

lunedì 13 agosto 2012

Impressioni in penna "Mostra fotografica di Fosco Maraini"



 
Le mie “impressioni in penna” nascono dal desiderio di far migrare nella scrittura quello che l’anima ha visto, digerito, rielaborato. Perché a modo mio resti…


"Impressioni in penna" della Mostra fotografica di Fosco Maraini: “SAPPORO, I GIORNI ALL’UNIDICESIMO VIALE” Museo di Storia naturale, Sezione di Antropologia Etnologia di Firenze. 
 
Un Museo antico, quello che ospita la Mostra Fotografica di Fosco Mariani, ubicato all’interno dei uno dei meravigliosi palazzi che rendono Firenze unica al Mondo. Qui, tra queste sale, all’interno di bacheche dai profili in legno e i vetri molati alte fino al soffitto, trovano spazio i resti di antiche civiltà a noi lontane, ma dalle quali tanto del nostro presente abbiamo carpito.
Mentirei se scrivessi che conoscevo Fosco Maraini, la sua storia, la sua passione per il viaggio, per la terra nipponica. Un percorso di vita il suo affascinante ( almeno a quanto leggo nelle brevi note biografiche all’inizio della mostra), che l’ha portato ad “impressionare” non soltanto con le parole ma anche con l’obiettivo, luoghi e persone, per costruirsi e regalare una memoria d’immagini, fermare nello scatto il ricordo. Di questa mostra fotografica sono gli Ainu di Hokkaido gli assoluti protagonisti, e il mistero del “rito dell’orso”, che Fosco Maraini ci mostra con le sue foto, perpetuando anche lui un rito, quello di aver  immortalato il su detto più volte a distanza di anni, cercando di carpirne le differenze, le sfumature, l’atmosfera che non si vede ma si sente, assistendo alla cerimonia come lui ha fatto. Quasi ogni foto riporta sotto la sua spiegazione, a sottolineare come le immagini vadano a braccetto con le parole scritte; dove l’occhio non vede la parola lo accompagna, dove la parola necessita dell’occhio, per esser vista. Pochi gli scatti a colori, perché il bianco e nero è sufficiente per catturare lo spirito di quei momenti conviviali, di quei frammenti rubati al quotidiano;  nell’espressione dei volti, negli atteggiamenti  regali del capo del villaggio. Il percorso della mostra si snoda nelle varie sale del Museo. Se potessi le riunirei tutte insieme le foto, proprio per gustare al meglio il mutamento d’atmosfera che Fosco Maraini ha riscontrato nei diversi anni in cui le ha scattate. Per questo nel mio osservare sono andata avanti e indietro nelle sale, rileggendo con cura le date, riosservando le figure  catturate nello scatto. E nonostante i decenni intercorsi tra una serie e l’altra, ho avuto l’impressione, la sensazione,  che il tempo si fosse fermato; nei sorrisi, nelle lunghe barbe bianche dei vecchi, negli abiti, dalla stessa foggia e dalle medesime decorazioni. Nella breve carrellata di ritratti esposti, quello di un giovane Ainu mi colpisce. E’ un sorriso sincero il suo, di certo non costruito con malizia in virtù dell’obiettivo. Eppure la vita per questa etnia, deve essere stata tutt’altro che facile e la loro quasi completa estinzione ne è la conferma. Mi piace quando leggo nelle note didascaliche di Fosco Maraini che per gli Ainu la casa non è  solo nido ma luogo di culto, un personale santuario, dove ritrovarsi con se stessi e con la comunità, alla fine di ogni giornata. Nelle barbe canute, nei segni del tempo che come solchi segnano indelebili i volti e le mani degli anziani del villaggio, leggo una “sua” filosofia, fatta di semplicità, accolta sofferenza, condivisone continua e naturale con i propri simili.  
Scendo lo scalone del palazzo, mi immetto nella strada. Un brulichio di suoni e rumori mi riporta in questo qui, in questo ora così diverso, così…globale. Devo tuffarmi più spesso nelle nuove conoscenze del passato!  Mente, anima  e spirito, ringraziano.

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Scattiscritti "...vagabondare..."

Scorcio del borgo di Montalcino
 ...vagabondare...     foto di Marco Galeotti


"...Non puoi, davvero non puoi, andar da solo in certi luoghi..."- gli disse accigliata-
"La magia va divisa e condivisa, magari in silenzio, lasciando che ognuno ascolti il suo sentire..."-continuò soppesando ogni parola-
Lui, da dietro gli occhiali scuri sorrideva, ben attento a non farsi scoprire, e null'altro aggiunse...
In qualche modo da ora in poi, si sarebbero accompagnati nel vagabondare di entrambi...

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Pit Stop "Proseguo..."



Anche questo agosto mi stritola, mi chiude tra i suoi giorni, mi mette in circolo veleno. Tra me e lui è così da trent’anni. Non mi sono mai soffermata ad osservare quali e quanti di questi trenta agosti, mi abbiano servito un piatto migliore, più clemenza, tregua addirittura. L’ho fatto per paura. Per paura di dover mettere in conto il conto del prossimo. Così, per questo, sapevo già alla fine di quello passato che questo sarebbe stato com’è: con le lacrime in agguato, con la fatica di trovare la fine ad alcuni giorni, con i problemi accumulati nei mesi ora messi in fila, in desolante attesa. Aspetto. Aspetto che la morsa da sola si allenti. Investire energie per accelerare il processo, mi provoca troppa fatica. Rimango in attesa, rimango in ascolto. Che l'anima si acquieti, che il veleno scenda, e dalla punta delle dita dei piedi, esca.  
Proseguo….


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