domenica 17 aprile 2016

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi ( un po' meno di 1000) "LOKED-IN"


"LOKED-IN"


Mi piaceva quando ridevi di nulla. Mi piaceva stare in quel nulla di cui ridevi. Mi piaceva l’odore della tua nuca. Mi piaceva il suono dei tuoi braccialetti. Mi piaceva esserti accanto quando eri altrove. Mi piaceva vederti arrivare da molto lontano. Ti rincorrevo sulla sabbia nel dopo tramonto, dopo che l’ultimo bagnante era andato e la brezza di mare portava un brivido lungo la schiena. Tu eri veloce di gambe, gambe lunghe le tue, dai polpacci scarni, dalle cosce tornite. Non ti prendevo mai: solo se tu volevi. C’è stato tanto tempo tra noi, tanto da non dimenticarsi. Anche questo che resta, che del tanto non è certo il migliore, lo ricorderò, lo ricorderai. Chiudo gli occhi ora, sono stanco, ti ritroverò al mio risveglio e se non fosse capirò. Dopo torno ancora a raccontarmi di noi.

Valeria si scosse, guardò Giulio, riposava. Lei doveva aver sonnecchiato per una mezzora. 
Le piaceva guardarlo mentre dormiva. Le piaceva dormire sapendo che lui la guardava. 
 
 

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi "Le 22"

"Le 22"

Battiti accelerati, il calore sale al volto e quella smania si arrivare al momento per rivederlo. Ancora Ilaria non si trovava a suo agio in quella nuova situazione, in quella empasse. Donna libera dal bagaglio sempre pronto, dalla curiosità sempre accesa per terre lontane, da visitarsi senza fretta, assimilare tramite i suoi scatti, portare e tenere dentro a seconda del grado di piacimento. Ora Sergio metteva a repentaglio il suo continuo imbarcarsi, il suo rivedere il peso dell’amore. Sarebbe dovuta star lì con la testa a editare le ultimi fotogrammi scattati in Normandia ripercorrendo i giorni dello sbarco, sotto i colpi del tempo d’Oceano, fatti di pioggia che va in sole e di sole che va in vento. Davanti al suo pc, alle sue immagini da mettere in bella, si ripeteva la domanda: “Lo chiamo o gli messaggio?...”

 
Sergio addentò l’ultimo morso della bruschetta appena calda con fette di lardo di Colonnata. Il boccone si scioglieva nel palato, la fetta tostata si mescolava al lardo sciolto che ne insaporiva la mollica. Un calice di Chianti da sorseggiarsi a fine pasto, stava lì davanti al piatto, sul tavolo del giardino, per una delle prime cene di primavera all’aperto. A Sergio le cose piaceva farle con grazie, garbo, ricercatezza, fosse anche solo una cena frugale come quella in solitario, un momento suo, strappato con non poca fatica al suo mestiere di meccanico di auto epoca. Domani sabato, avrebbe ridato vita al suo piccolo giardino assopito dall’inverno, tagliando l’erba, estirpando la gramigna, rimettendo la terra mancante nei vasi di bosso e, se gli fosse rimasto del tempo, piantando le fioriture di stagione nel vaso a conca appoggiato sulla bocca del grande paiolo di rame del bisnonno Mario, un tempo utilizzato per la preparazione degli insaccati del salumificio di famiglia, ora diventato fioriera invidiata e richiesta dalle mogli e le compagne degli amici. Domani sabato, avrebbe goduto dell’odore di erba tagliata, di terreno smosso, di annaffiatura del dopo concimato. Ad Ilaria Sergio non pensava, pensarla solo era poco. La sentiva nello stomaco, la vedeva negli occhi,gli correva sui nervi. E quella cena in solitudine e le premesse messe a fuoco per domani, non furono più abbastanza.

 
Ilaria saturò di colore il cielo e il mare di Omaha Beach, lasciando in grigio le batterie dell’esercito alleato che fuoriuscivano come schiene di ippopotamo dalla bassa marea. Mise testa, parole e immaginazione per produrre una didascalia alla foto, di quelle alla “sua” maniera, emozionale, che non spiega l’immagine ma ne va oltre. Quella miscela, connubio, armonia, tra foto e scrittura, era il suo modo di guadagnarsi il necessario per vivere, senza sprechi né follie, ma l’appaga, le bastava. Si portò le mani al volto in un gesto di arrivata stanchezza. 
Le 22 era scritto sul display del cellulare. 
Ilaria chiamò Sergio.

Sergio bevve un dito di limoncello in bicchierino freddo. Tirava vento, e vuoi il freddo del liquore, vuoi la sola camicia a pelle, dovette alzarsi, entrare in casa, prendere il golf lasciato sulla sedia nel corridoio al suo rientro. Sulla consolle accanto c’era il telefonino, volutamente messo silenzioso per non essere disturbato durante tutto quel tempo. 
Le 22 era scritto sul display. 
Sergio chiamò Ilaria


Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi "Partenze"

"Partenze"


  
“ Lo hai voluto te, io non volevo. Non mi piacciono  questo tipo di cose, ma si sa, tu non lo  accetti. No, non è che non ti amo, smetti dai ti prego, sai bene che non è così. E’ che tutto questo continuare a salutarci mi mette peso allo stomaco, mi mette vuoto nella testa. Non ha senso questo procrastinare, tanto sappiamo tutti e due che non ci sarà un finale da film in cui tu scendi dal lato opposto. Il treno parte e poi mi chiami e…”
Fu silenzio tuo.  Cosa avresti potuto dire dopo se non quello che io avevo già detto?. Eri furbo tu, mi mettevi in circolo la tristezza, il disagio della situazione  e poi lasciavi che, me lo smaltissi da sola.
Venne il fischio del capostazione, le nostre dita si strecciarono  rimase l’odore della tua mano sul mio palmo e un poco di indolenzimento per essere stata in quella posizione con il braccio. Ma questo fu solo percezione da un secondo. Non restai a vedere il convoglio che lasciava la pensilina, non mi voltai , mi girai di scatto sulle suole me ne andai.  Con tutte le lacrime che mi ingombravano il respiro, con tutto il mio chiedermi cosa avrei fatto in qui minuti del dopo, in quelle ora rimaste dopo i saluti.
Firenze stava lì a un passo, piccola nella sua magnificenza. Scansai valige rigide più grandi di chi le portava, incrociai sguardi da arrivo e di partenza, passai in mezzo a colorati gruppi di adolescenti in gita e occhi e sorrisi eccitati dei primi turisti d’aprile. Uscii dalla stazione persi per Via Cerretani. Il tuo silenzio mi ronzava nelle orecchie. Il tuo silenzio, compagno fedele del nostro essere in due, del nostro amarsi profondo sempre detto troppo poco con un semplice “ti amo. Io ero il nostro diario di bordo, la custode del nostro non dirselo,  la voce dei due. Tu eri il parco: di idee, esternazioni, decisioni, proposte. “Pensaci te, tu sei più adatta, sei tu la creativa, la vulcanica, la proponente”. Assuefatta nel ruolo mi malgrado, portavo avanti il compito assegnato, per patto segreto di coppia, per amore e basta. Arrivai in Piazza del Duomo con passo lento e distratto, al caffè Scudieri ordinai un caffè e un dolcetto piccolo, di quelli da un boccone di sommo gusto. C’era rumore di tazzine e brusio di voci in passaggio, c’era un panorama di Duomo e Battistero a un passo. Ma quello per nostra fortuna c’è sempre. Pagai e uscii, dando ai piedi la scelta della direzione: Borgo san Lorenzo mercato. Cinquant’anni addosso e tanti ricordi di giovinezza messi insieme nel passare in mezzo alle due file di quelle bancarelle, un tempo patrimonio di ambulanti fiorentini  ora di altri sopraggiunti da lontano. Dove fosse arrivato il tuo treno in quel momento provai a calcolarlo guardando l’orologio: quaranta minuti dalla partenza, un passo all’arrivo alla stazione di Bologna. Ti vidi perso nei tuoi appunti sul tablet, il cellulare accanto, gli occhiali sulla punta del naso.
 Ti  trovai all’ingresso dell’ex mercato centrale. Eri sudato, l’impermeabile abbottonato maldestramente, gli occhi brillanti per una stranezza a te sconosciuta messa  a segno. Mi ci vollero cinque interminabili minuti per intrecciare di nuovo le mie dita tra le tue.