lunedì 30 maggio 2016

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi "Un bastardo"

"Un bastardo"

Accolsi il suo pianto per dovere. Mi dispiaceva si, ma non abbastanza da comprendere tutto quel suo singhiozzare rumoroso. Fingere di essere accogliente mi veniva bene, da sempre, da quando ero un bastardo. Se qualcuno di nascosto mi avesse visto, non avrebbe dubitato che soffrivo con lei. I tratti affranti del mio volto, solo questo riportavano.

Ilaria andò avanti parecchio nella sua disperazione: lacrime, sussulti delle spalle, suoni gutturali provenienti dal diaframma. Per tutto quel tempo che mi sembrò molto di più di quel che fu in minuti veri, restai seduto in ginocchio dietro di lei, a sorreggerla, a confortala. 
Ma, ero, altrove. 
Elena, le sua ciglia folte, Elena, le sue dita affusolate, Elena le sue unghie laccate di rosso scarlatto, Elena,la sigaretta tra le labbra, le gambe accavallate, le ginocchia ossute. Elena, Elena e basta. 
Non ebbi nessun rimorso ma un erezione, mentre il corpo di Ilaria si scaldava per il troppo pianto, mentre i miei piedi si formicolavano per quella posizione prolungata. Ila alzò la testa. Nessuna vergogna a chiamarla così, in modo affettuoso. Ila alzò la testa, si passò le mani sul volto tumefatto di dolore, si girò verso di me con infinita, tenera, riconoscenza. Sorrisi melenso, l’attirai al mio petto, con lei mi alzai e lei cominciai a baciare , con foga, trasporto eccessivo, per quel momento in vivendi.

Eccitato di Elena consumai Ilaria  

martedì 24 maggio 2016

Pennellate di parole...

  Ron Hicks (1965) Impulsive.

"Un assolo di baci"

Un assolo di baci, nulla più, anche se a guardarli si poteva immaginare molto, molto ancora oltre quelli.

Elvira si finì le labbra su quelle di Alfonso, Alfonso arrossò la pelle delle guance di Elvira con la sua barba di tre giorni. Qualcuno ebbe da scandalizzarsi per la posizione spiccia di lei, qualche altro ci posò gli occhi con gusto e invidia buona, altri a passarono senza degnare; in fondo non era cosa loro. Nel rimasuglio di un giorno di maggio pazzerello come uno di marzo, le cosce di Elvira si raffreddarono sotto le calze. Andò peggio ad Alfonso: il dì dopo lo passò tra starnuti ripetuti, naso chiuso e gocciolante.
Ripeterono tutto appena lui si riprese.

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi "Siegfried"



"Siegfried"

Il pastore Siegfried aveva lo stomaco in brontolio, dopo aver macinato parecchie miglia, con la tramontana a tagliargli la faccia e la pancia prominente a rallentargli il passo. C’era crisi di fede in giro, la gente s’impoveriva di ora in ora e il gregge andava smarrendosi. Così Siegfried, primogenito di cinque tutti battezzati in onore di Vagner, aveva deciso, in una mattina di sole a picco, di sudore in abbondanza e di canonica vuota, che quel gregge decimato andava rimpinguato. (La rima baciata venne a lui pensando al da farsi, io altro non feci che riportarla). Non fu certo l’insegna sbiadita, né il fragore di voci sgraziate in parole indecenti, a fargli decidere di fermarsi, varcare la soglia di quella taverna, ma il buon odore di fragranze antiche, povera ma genuine, che dalla porta sganasciata aperta, si spandevano sul sul marciapiede. Il tepore della cucina là in fondo alla sala di tavolacce unte e sedie logore, avvolse all'istante la mole robusta e infreddolita del pastore Siegfrieg.Le sue guance rotonde screpolate dal gelo s’intiepidirono, mentre la barba rossiccia che gli sfiorava il torace, s’impregnò di aromi. Si fece silenzio nel locale alla sua entrata, i volti ghignosi degli avventori si fermarono in una smorfia di diniego e gli occhi di tutti, oste e sguattero compreso, si piantarono sul suo faccione straniero al locale...
 
 

domenica 8 maggio 2016

Pit Stop "Per me"



"Per me"


Vado per i 52, lei mia madre va per i 76. Rapporto non rapporto il nostro, non ci siamo mai affidate. Se ho avuto bisogno di risolvermi, ho dovuto mettere mano al portafoglio, pagare chi sarebbe stata ad ascoltarmi consegnandomi consigli. Sono stata un’adolescente remissiva, depressa forse? Probabile. Lei se ne accorse? Non credo. Risolsi da me? Nemmeno, ci sono voluti anni per capire, maturità per averne la consapevolezza, determinazione per decidere di fare chiarezza. Mi sono presa in carico, ho approfondito, ho provato e ancora provo, a scardinare quel senso di inadeguatezza che vive con me. A domanda se mia madre si sia accorta o meno del lavoro che su di me ho fatto, non ho risposta. Il dolore per la morte dell’uomo che ci univa; marito per lei, padre per me, non ce lo siamo mai raccontate. Colpa di entrambe, non voglio esimermi da prendere le mie responsabilità. Ognuna di noi l’ha vissuto a modo suo, nel proprio intimo, nel proprio segreto giardino chiuso a chiave. Io non ho provato a chiedere la chiave del suo, lei del mio. A domanda se conosco mia madre, rispondo no. Lei forse non risponderebbe lo stesso, credendo invece di conoscermi, elencando una serie di luoghi comuni per definirmi. Così è tra noi. E ora che i suoi problemi di salute mi mettono davanti al fatto innegabile che devo occuparmi di lei, me ne occupo e basta. Con fatica, con senso del dovere. Sono figlia unica non ho molte altre chance.
Questo è, senza tanti giri di parole, senza tante menzione o paroloni di circostanza, perché lei e mia madre e io sono sua figlia. A mio padre rimetto aiuto, conforto, pensiero. Lo so, dovremmo pensare ai vivi e non ai morti, dovremmo farci belli con frasine a effetto, con cuoricini del caso. Non sarei io, nel mio insopportabile dire e provare quello che dico e provo davvero.

Nessuna assoluzione. Solo verità


venerdì 6 maggio 2016

Pennellate di parole... "L'ultimo bacio"



Raymond Leech (1949-) - The last kiss.


"L'ultimo bacio

Sabrina avrebbe ripreso la corriera, Ermanno un altro treno alla prossima stazione. Tra loro in poi lettere: di speranze, di racconti frammentati, di notizie da nulla, perché quelle importanti non si scrivono. 
Sabrina avrebbe messo via quell’abito appena uscito dalle mani di sua madre, per indossarlo ancora al ritorno di Ermanno. Ignorava ora, che non ci sarebbe rientrata. 
Ermanno avrebbe messo muscoli sulle braccia, indurito la pelle delle mani, colorato il volto di sole, ma non da vacanza.

Quando i palmi di lui lasciarono quell’esile appiglio, il capo stazione aveva già dato fiato al fischietto, il treno sbuffato, i fazzoletti un addio. 
Sabrina senti le lacrime salire ma le trattenne. Un conato di vomito stava avendo la meglio. 
Ermanno sistemò la valigia sulla rastrelliera, si accese una Nazionale, si perse nel provare a far suo quel futuro ignoto. 
Il tramonto, comunque, avvenne…

giovedì 5 maggio 2016

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi "Immagine"

"Immagine"

Quel sogno ricorrente, quell’impalpabilità da stringere e poi l’odore che le restava nel naso per molto dopo, molto dopo il risveglio.
Serena si alzò sul letto di scatto. 
“Di nuovo”- disse chiedendo gli occhi-
Aveva lasciato le persiane aperte e c’era luce nella stanza, la prima del mattino. Ricadde giù sul cuscino.
“Le 6:30”-disse guardando l’orologio- “Domenica”-disse ancora sospirando- Dopo quasi trent’anni da mesi il solito sogno: potente, preciso, doloroso quanto invocato da tempo remoto. Non pianse, non disse più, non fece. Restò ferma nel letto, gli occhi al soffitto di travi scure. Di nuovo li richiuse, li strinse forte, come a voler trattenere, fermare, imprigionare, l’immagine sognata.
Risentii.
Il suo corpo sotto la camicia bianca che la stringeva, le sue mani le sue dita che le accarezzavano la schiena, l’odore della sua pelle, il suo sudore.
Distacco.
Il volto nel volto, i lineamenti precisi, il silenzio. Nessun suono nessuna parola. Solo contatto.

 Serena si alzò, un piede alla volta fuori dal letto con lentezza d’elefante. Infilò Le pantofole fuxia, indossò la giacca di pile sopra al pigiama, scese le scale del soppalco, si diresse alla finestra, la spalancò. Senza sedersi alla scrivania, senza mettere gli occhiali, accese il pc, attese che le operazioni di partenza fossero ultimate. Poi andò in bagno. Scese la scala di pietra, si fermò sul piccolo pianerottolo. Fragranza di caffè nella stanza. Il bancone della cucina era apparecchiato per la colazione: una tazza, una tazzina, la zuccheriera, la scatola di latta delle fette biscottate, la treccina accanto al bricco del latte di soia
“La colazione è pronta, vieni?…”
Scese gli ultimi quattro scalini, lo baciò, si sedette.
Giulio la accompagnò anche in quella giornata.

mercoledì 4 maggio 2016

Pennellate di parole... "...di sonno sogna..."

 
Giovanni Boldini L'Amaca 1872


"...di sonno sogna..."



Prenderò sonno dopo che lei sarà nei sogni. Io il mio lo tengo qui, negli occhi ora, mi sussulta nel petto, mi farfalla nello stomaco. Devo stare attento a non far troppo rumore, Il ramo cigola, il vento irrompe e io non mi sento più sicuro di quando son salito fin quassù. Taccio, mi concentro sulla discesa, è un sonno che non va rotto, è un sonno che al mio sogno conduce. E io son desto finché lei di sonno sogna...