giovedì 31 luglio 2014

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi "Signore? Signore? La sua ordinazione"



"Signore? Signore? La sua ordinazione"




Se ero entrato in un sogno desideravo restarci, se ero sveglio e l’immaginazione mi stava giocando uno scherzo, avrei preso provvedimenti. Ma dopo. 
Mi guardai intorno, ma non scorsi sulle facce degli altri clienti seduti ai tavolini del caffè Ribò, né sui passanti di fretta o in flemma attraversanti la piazza, lo stupore che di certo si mostrava sulla mia. Controllai com’ero vestito, per verificare se gli abiti indossati al mattino erano immutati: camicia di lino color carta da zucchero, stropicciata quanto deve per un vero estimatore del tessuto quale ero io, jeans leggeri, blu sbiancato, vita bassa e gambale stretto, ai piedi, senza calzini, un paio di mocassini scamosciati color sabbia. Sul tavolino, accanto ad aperitivo e stuzzichini vari, il tablet, connesso sulla mia pagina facebook, nella tasca destra dei pantaloni il cellulare. Ogni cosa e genere umano era al suo posto. Io in passato. Che anno era? Che giorno? Che ora? Quanto tempo era trascorso da quel prima che adesso più non sapevo quanto prima fosse stato?

Sei fanciulle, davanti a me pochi metri di distanza, distanti a me per tempo di provenienza, ammiravano il mare dalla balaustra, si sorridevano le une con le altre. Indossavano gonne vaporose che toccavano terra e camicette accollate dalle maniche lunghe e i polsini stretti, sopra i capelli sciolti o in treccia, cappellini di paglia adornati con nastri. Soltanto due di loro, forse le più ribelli, indossavano al posto delle sottane dei calzoni stile zuava e un gilet di foggia maschile sopra la camicia come le altre. Quell’immagine, di cui mi stavo sempre più convincendo fosse solo mio speciale appannaggio, sembrava una tela sfuggita alla cornice, un dipinto in carne, da potersi attribuire al pennello di un Corcos o di un Boldini. Il primo mi parve più idoneo. 
Imbambolato dal quel quadro vivente in movimento, smisi di farmi domande, evitai le risposte se c’erano, godetti: punto e basta. A esser sincero provai a coinvolgere in quella mia visione esclusiva il cameriere di servizio ai tavoli, gli feci cenno con la mano, lui si avvicinò solerte e prima che pronunciasse la canonica frase: “Mi dica Signore desidera altro?”, cercai con un ammicco di occhi e sopracciglio di invitarlo a girarsi insieme a me verso il mare, di lasciarsi meravigliare dove io meravigliavo, rapire dove io già ero in osteggio. Ora anche le voci squillanti e civettuole delle sei creature, musicavano nelle orecchie. Il cameriere, con fare interrogativo nella sua compostezza dovuta al ruolo, senza nulla dire fece intendere con non vedeva e non capiva, alzando appena un poco le spalle, accennando un mezzo sorriso di circostanza. 
Ordinai un altro aperitivo e che mi accompagnasse con altri stuzzichini diversi da quelli precedenti possibilmente. Tacqui. 
Mi prese la fregola di alzarmi, di andare incontro alle fanciulle. Lo pensai, lo feci, non ebbi tempo. Il tempo tornò nel mio tempo, loro tornarono nel loro. Fu vuota la terrazza sul mare si fecero più spuma le onde che sotto s’infrangevano e una scia di tuberose non volle mescolarsi con l’odore di salsedine. Per mia fortuna. Rimasi immobile, tra gazebo, tavolino, piazza, terrazzo. 
Il cellulare vibrò nella tasca.

“Signore? Signore? La sua ordinazione”







domenica 20 luglio 2014

Pit Stop "Appunti di giornata..."

"Appunti di giornata..."



Il cielo si tinge di sera, il giallo abbassa, l'azzurro scurisce. Piano, senza fretta, tanto le ore hanno a venire comunque, sta scritto tra gli appunti di giornata, è nel tempo immutato che scorre. Le cicale cicaleggiano, i passerotti da qualche parte tubano. In campagna avviene. C'è da annaffiare il giardino se ce l'hai, quando la calura scende, si può stare con porta aperta sul fuori mentre la cena si consuma. Mi son concessa mezz'ora di tinta nel pomeriggio. La pelle un poco ambrata dona, toglie la necessità di trucco al mattino, mette quell'aria sana in volto. Ho pomodori dell'orto di mio suocero da condire, zucchine appena colte da scottare. Si avvicina il desco, il gatto se la dorme nell'angolo sotto la siepe di gelsomino ormai sfiorita, la casa è ancora in penombra, fresca, silenziosa. Ora mi alzo da questa postazione, consegno un "pubblica" a queste righe qualunque, messe insieme su un foglio virtuale per il solo gusto, piacere di farlo. Le ho scritte qui di getto, nessun copia e incolla, né correzione di testo. Affido il tutto alla rete, un frammento di giorno in chiusura raccontato così, come l'ho sentito. Scrivere, magia di un' emozione in simboli; porta in prosa un pensiero, ti stimola nel consegnarlo a narrazione.
Sto bene in mezzo a questo artigianato di parola.
Che nessun mi tolga... 


...tramonti a Poppiano... ( foto di Marco Galeotti)

lunedì 14 luglio 2014

Scattiscritti " Beatrice in sogno..." (un pezzetto di storia presa in prestito per Bea)

" Beatrice in sogno..."(un pezzetto di storia presa in prestito per Bea)
foto della mamma Maria Laura Di sano



  
Beartrice balla da sola.
Beatrice in sogno...
Una valigia rossa con i pois bianchi.
Una stazione.
Un treno in ritardo.
Una ragazza in partenza.​​
Così è Bea. Una valigia aperta sul futuro, una stazione in cui fermarsi da cui ripartire. Un treno che accumula ritardo perché ad ogni stazione sbaglia il binario d'arrivo. Una ragazza in partenza da se stessa; si lascia al bisogno, si riprende al necessario.
Ancora ignora cosa farà da grande, lo specchio per adesso le rimanda solo gioventù, di quella da viversi come si vuole, da riacciuffarla in fretta quando una brutta piega prende. Non ha padroni Bea, se non la sua coscienza. E non si cura di come questa le si presenti, di cosa le suggerisca all'orecchio, di dove la porti.
Beatrice balla sola. Con la musica ad assordale i timpani, con il ritmo del corpo a seguirla. Quando tutto ciò avviene il suo sguardo è ben oltre gli orizzonti del mondo, è cosa solo sua, un'intimità in cui nessuno può far breccia.

Quando riattacca il telefono sua madre dall'altra parte dell'apparecchio le ha consegnato un bagaglio di fiducia in parole.
Quello solo cercava per proseguire... 
 
 

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venerdì 11 luglio 2014

Pennellate di parole... "Piacere"

Caravaggio Narciso


 "Piacere "


Piacere
Piacersi
Provare piacere
Dare piacere
Saper piacere
Quante cose si fanno, si danno per piacere, si provano col piacere. Verbo, sostantivo, modo di godere la vita, sensazione che dovrebbe ad oltranza accompagnarla.
Il piacere spesso sfugge, se ne assapora l'importanza solo dopo averlo provato, solo quando da troppo ci manca. Quando siamo "in piacere" pare scontato, quando si brama pare inarrivabile.
Se sto bene mi piaccio, con piacere mi godo, con altrettanto piacere con altri lo spendo, mi sprizza dai pori, trasmetto piacere.
Il contrario di piacere è dolore, così dice il dizionario.
Con la stessa veemenza si vive.
Piaciamoci nei giorni di vita che restano, piaciamoci, pur non sapendo cosa questa ci riserverà. Se non altro rammenteremo di noi ciò che piacevolmente fummo...


giovedì 10 luglio 2014

Pit Stop Perfezione?...




Dicono che la perfezione non esiste. Penso sia vero, credo abbiano ragione. Ma chi è che lo dice? Quelli che la perfezione non la conoscono? Perché quelli che almeno una volta la raggiungono, non lo dicono mica! E no che non lo dicono! 

“E’ tutto così perfetto” (frase molto conosciuta)
“Ogni cosa era stata fatta alla perfezione”(frase altrettanto sentita) 
“Tutto sembrava così perfetto quando…” 
Eccoci! Ecco la trappola e qui vi volevo!
E’ quel “quando” che fa la differenza, porta via, sbaraglia all’istante la perfezione, te la lascia annusare, il tempo che il suo profumo ti entri nelle narici e poi...puff, S P A R I T A!
E chi la vede, e chi la percepisce più! Tu credevi meschino di averla agguantata, anche solo per la coda, magari per poche, misere ore...E invece nulla, non è per te. 
Ma via su, siamo signori, passiamo oltre, meglio non incontrarla nemmeno da lontano al perfezione, meglio non averci mai a che fare, che non sia mai dovesse piacerci? Che si fa?E se poi non potessimo più farne a meno? 

“No, nunn’è cosa” (come dicono a Napoli) 
“La unnè roba per noi” (come dicono a Firenze) 
E ci saranno di certo altri modi dialettali a riguardo, ma non li conosco e qui mi fermo. 
Comunque, tanto per essere chiari e sinceri, non so voi, ma io la perfezione non so cosa sia . L'ho cercata, rincorsa, agognata ma... nulla! 
Però, in confidenza, non lo so mica se sia un gran bene entrare tanto in intimo con lei. 
Voi che ne dite?...

Pit Stop di una sera come tante, di quelle da un caos di domande e da un tot di risposte non trovate. 
Pit Stop.
Credo
Penso
Suppongo
Per me
Per voi
Buon proseguimento di serata.




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sabato 5 luglio 2014

Pennellate di parole..."Dame..."

 
Partita a dama di L. L. Boilly     

"Dame.."

 Pria che la memoria da me si congedi, vo raccontarvi una facezia in questo verbo antico, giacché vi veggo tutti interessati…

Facendo con le parole un giuoco, si narra che allo paese di  Dama una Dama per la dama avesse perso il senno, tanto che dimora e affetti andava trascurando. 
Lo sposo suo, innamorato e accorto, pria che la faccenda trascendesse, di dame tappezzò lo loro nido, così ch’ella, tra una partita e l’altra, trovasse lo modo di accudir la mensa, prestar d’affetto alle creature in fasce, appagar le sue necessità di letto che in ogni matrimonio ben riuscito trovan linfa e ristoro pe' corpo innanzi, pe' spirito poi. . 

Quando la passion di dama la Dama perse, a Dama tornarono i giorni in abitudine, vennero l’ore a susseguirsi in pace. 

Lo sposo sospirò un poco, non per lo tranquillo tempo ritrovato ma per l’eccitamento della moglie ito, che dalla dama all’alcova ogni notte andava…



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Pit Stop "Parole per chi ne ha bisogno..."

"Parole per chi ne ha bisogno..."

Viversi non è facile, ci si perde in ciò che vorremo essere, si rimpiange ciò che non siamo stati, si sa per certo ciò che altri da noi avrebbero voluto e che non gli abbiamo dato. Giungono giorni allora, in cui lo specchio ci rimanda di noi una brutta immagine, meglio sarebbe non specchiarsi, ottimo apporci sopra un drappo nero per togliere di mezzo ogni tentazione di farlo. 
Chi siamo? Che nome portiamo? Potremmo essere diversi, avere un altra anagrafe, un passato differente, un futuro proiettato in altrove. 
Domande queste, che affollano la mente fin troppo in confusione, che fanno salire quel magone sempre li pronto a esplodere, che impongono riflessioni spesso rimandate. 

Non è così che funziona, non è così che s’impara una volta per tutte ad accettare i nostri limiti, le nostre debolezze. Perché se oggi siamo quello che siamo, è perché ieri gli eventi, la vita, così ci hanno fatto diventare. 
Psicanalisti di noi stessi ci stendiamo sul lettino: raccontiamo, ascoltiamo, restituiamo, insomma un lavoro completo, difficile da portare in fondo e che un fondo mai trova. 
E allora proviamo, proviamo ogni tanto a darci pace, perché nessun mostro alberga in noi, perché nessuna anomalia ci incancrenisce l'anima. 
L'amore rincorso di chi non ci amava abbastanza, la richiesta di attenzioni, hanno distorto la nostra figura, hanno messo in luce il peggio di noi, ci hanno rimesso un conto troppo salato da pagare. 
A noi soli è dato decidere se è giunto il momento di saldare. 
Basta farsi del male! Questo si che  davvero ci annienta.
In ognuno di noi c’è più che molto da salvare.
In ognuno di noi c’è più che tanto che altri non hanno. 

Non dimentichiamolo
Mai.



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