martedì 30 ottobre 2018

Pit Stop Il tempo è solo una scusa







Piove forte, rallenta ma poi riprende. E' così da stamattina. Violenti scrosci si alternano al cadere silenzioso della pioggia autunnale. Un vento caldo ma strapazzone, sconquassa uomini e cose. Strade ingombre di rami, di cumuli di foglie, di terra venuta via dai cigli, di melma importata dalle ruote sull'asfalto. In campagna l'occhio va sulle fronde scosse, sui campi in smottamento, quando tra acqua e vento, si fa un gran rumore. In città non so, capita lo stesso? Flettono i lampioni? Dondolano le auto in sosta? Si riparano i gatti randagi? Nel buio di questo lunedì, il primo, dopo il ripristino dell'ora solare, si avverte cambiamento. Fosse solo di pressione atmosferica, di inverno in quota, di luna che prima sorge e sole che troppo presto tramonta, sarebbe come deve, come ciclicamente è. Ma son altri i cambiamenti che mettono in subbuglio, che scuotono la conoscenza a chi ce l'ha, che mettono domande in circolo, prima di risposte che non vorremmo sentire.

Accorcia il giorno, la notte rivendica le ore. Fosse solo notte di obbligato passaggio verso il nuovo in arrivo. A l'avvio del neo anno, già si contano i primi minuti di luce in più. Ma è un altro tipo di notte, è buio d'ignoranza, è notte per chi non vuol vedere, sentire, è silenzio sul rumore, il rumore di chi vede e sente.

Piove ancora, come ieri, rallenta ma poi riprende. C'era sabbia nell'acqua scesa ieri, oggi lava invece, meno vento, più freddo.

Piccoli cambiamenti di atmosfera.
Il resto resta e si rafforza.
Purtroppo.


venerdì 26 ottobre 2018

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi ( oltre le 5000) Una ottima annata






Fu un’ottima annata quella del 1964, nascemmo così in tanti che la scuola elementare Niccolini, dove io fui iscritta, dovette, per poter garantire l’istruzione a tutti, fare i doppi turni. Che cosa erano i doppi turni direte voi?...Una cosa impensabile ai giorni d’oggi: un trimestre frequentavamo la scuola al mattino, un trimestre al pomeriggio, così nella stessa aula, due erano le classi ad alternarsi. Cose da secolo scorso, anche se stiamo parlando solo del 1970 o giù di lì. Eppure succedeva, succedeva in quella nostra epoca, in cui le scuole riaprivano il primo di ottobre, il primo esame era alla fine della seconda elementare, il secondo in quinta e quello di terza media il terzo. Povere creature… Col grembiule bianco le femmine, con quello nero i maschi. Unica nota in comune, un colletto bianco a righine blu finissime, che sopra a quello già in corredo del grembiule, veniva abbottonato dal clik di un bottone jet, posto dietro.


31 eravamo in prima elementare, 31 con un’unica maestra, che rispondeva al nome e cognome di Elvira Cavalli, parmense di origini, se la memoria non mi inganna, sposata con un insegnante a sua volta, entrambi con la cattedra nello stesso plesso scolastico. Grandissimo fumatore il Signor Cavalli- il cui il nome di battesimo ora mi sfugge- lo si sentiva forte, avvicinandosi anche da non troppo vicino. Frammenti di dettagli in memoria…fanno la differenza. 

Per una di quelle che vengono definite in gergo fiorentino “quelle cose avvorte”, la Signora Elvira, io la conobbi prima di sapere che sarebbe diventata il mio mentore. Il caso volle, che nell'agosto del 1970, a due mesi dall'inizio della mia carriera da alunna, io e l’Elvira fossimo vicine di casa in affitto, nella ridente cittadina balneare di Donoratico, alla quale io giungevo regolarmente ogni anno, parecchio provata, dopo aver vomitato più volte per buona parte della Volterrana, unica strada ricca di tornanti, che a quell'epoca nostra conduceva a quel pezzo di costa e di mare. Perciò, fu una vera carrambata, quando mi ritrovai la Cavalli come istitutrice! 
Sempre in quella nostra epoca, il primo giorno di scuola, il primo di tutti gli altri primi giorni di scuola in assoluto, l’assegnazione dell’insegnante non la si sapeva che un attimo prima di varcare per la primissima volta il portone della scuola. Un rito: mamme e figli seienni affollavano il cortile della Niccolini; dall'alto di una delle scalinate di pregio ( la scuola già vecchiotta, ma di bell'aspetto, ne aveva due, in pietra serena, poste ai due lati della facciata), una voce possente senza ausilio di microfono, pronunciava il nome della maestra e a seguire, uno per uno, i nomi degli alunni a quella assegnati. Azzardo di memoria: mi pare che ci fosse addirittura un’estrazione in diretta, per mettere insieme i due soggetti, ma può darsi che dal ricordo sia passata direttamente alla fantascienza. Comunque, alla chiamata di nome e cognome dell’infante, la madre alzava mano e voce e, con la creatura ancora frastornata da quel rito, saliva lo scalone, varcava il portone, entrava nel corridoione, seguendo passo passo le indicazioni che il bidello/a, con fare educato ma autoritario, indicava. Riavvolgendo il nastro dei ricordi, ho un flash: “Ehhh siete stati fortunati-disse una madre alla mia- “La Cavalli è una delle migliori”! 
Di questa notiziona, la mamma andò sempre parecchio fiera, visto che non era ricorsa a mezzucci perché io avessi il privilegio dell'Elvira. Piccole forme corruttive di quell'epoca nostra... Fu così che la maestra Cavalli ci prese in affido per un quinquennio, il penultimo prima della pensione, consegnandoci, in fondo a quel primo percorso di conoscenza, per me il migliore di tutta la mia vita scolastica, non solo l’attestato di licenza elementare, ma anche un grande complimento, quello di essere stati uno dei cicli migliori avuti nella sua lunga carriera di insegnante. E il ricordarlo ancora oggi ecco…è di gran soddisfazione! 


Per via di quell'autonomia decisionale, quasi assoluta, che le insegnanti avevano in quella nostra epoca, alla fine della prima elementare, da 31 diventammo 29. Due bocciature, cosi d’emblée, perché non ritenuti/e idonei a proseguire.Per il loro bene meglio stopparli subito, per un ottimo subitaneo recupero, prima che fosse troppo tardi. Non mi è mai pervenuto ( ma dovremmo attingere all'archivio dei ricordi degli altri 29 della classe) che nessuno dei quattro genitori in causa, avesse avuto da ridire...o, se anche lo ebbe, dovette accettare la decisione presa, perché altro, in quell'epoca nostra, non c’era da fare. 

La maestra Elvira era davvero una garanzia, dal un punto di vista didattico, da quello umano un po’ meno, ma non potendo la buon'anima replicare, lascio qui cadere la cosa. Ciò che imparammo con lei, mai è stato dimenticato, scalfito, messo da parte, considerato non importante o inutile, col passare del tempo, Tanto che molti di noi 29, io in testa, in prima media copiavamo i temi, (quelli che ora vengono chiamati testi), in classe, ( quelli che ora vengono chiamati verifiche) che ci vennero riconsegnati, alla fine delle elementari, in una cartellina di cartone con elastico, dopo l’esame, con l’ultima pagella scritta a mano in bella grafia, e la licenza elementare conseguita. Al primo colloquio con la Prof.ssa di lettere, tale Zani di cognome, un po’ antipatichina a essere sinceri, ma non stupida, alla mia mamma venne detto che andavo bene sì, pur non facendo quasi nulla, campando di rendita dalle elementari. Figuriamoci se avesse saputo che attingevo dalla cartellina di cartone con elastico?... Rendita buona non si cambia! 

I mesi di ottobre del mio tempo, erano l’eleganza dell’autunno: la prima brina sui campi ancora esistenti in quel di Soffiano/Monticelli, il sole tiepido del dopo pranzo, il golfino sopra al grembiule al mattino, i calzettoni in cotone fin sotto al ginocchio e quelle ore passate in cortile, prima di mettersi seduti al tavolo di cucina a fare i compiti, che erano giusti, né pochi, né troppi, che si potevano fare da soli. 

Nell'ottobre del mio tempo, si vendemmiava. Ora è tutto in anticipo, qualche vigna si spoglia di grappoli già a fine agosto. 
Nel lavabo di granito in terrazza, la mamma poneva un marchingegno che serviva per strizzare i panni, quando ancora, tra gli elettrodomestici in dotazione nelle case, il frigorifero e il forno, erano gli unici che si possedevano. Dalle terrazze veniva calato il panierino con la merenda da consumarsi nella corte o in strada. La più gettonata era pane, burro e sale, pane, acqua e zucchero, pane e marmellata. 
Un’altra vita, un altro mondo, nessuna retorica, solo realtà com'era e come mai più potrà essere.
Nessun rimpianto, solo storia.
La nostra.


sabato 20 ottobre 2018

Pennellate di parole... Tre passi


Vincent van Gogh Avenue of Poplars in Autumn, 1884



Donna Adele veniva da lontano. Poco di lei si sapeva: che era vedova da vent'anni e che i due figli maschi,avuti in giovanissima età, erano rimasti nella terra sconosciuta, da cui proveniva. 
A Malafrasca le donne la evitavano, per paura che s’insinuasse nelle loro case, rubasse l’amore dei figli, risvegliasse l’appetito dei consorti. 
Eppure nulla di lei faceva pensare a quel tipo di femmina. Sempre avvolta in abiti scuri dalla foggia antica, con un foulard a nasconderle i capelli, d’estate e d’inverno, con quell'espressione sul volto che ogni giorno celava un mesto pensiero. 

Martino, delle dicerie di paese non si curava. In Adele vedeva la madre che da troppo gli mancava e la moglie che un giorno avrebbe voluto tra le braccia. 
Così, divideva, separava, con pudicizia, il tempo trascorso a spiarla, sentendosi ora bambino cullato sulle sue ginocchia, ora uomo acceso dalle sue carezze.
Sul suo viso, nel suo corpo, commozione ed emozione s’agitavano ogni volta, mentre con il fiato fermo in gola, si saziava di lei madre, di lei donna. 

Un giorno si videro sul sentiero delle Illusioni. Lunghe erano le ombre, i marroni andavano in giallo e le fronde aspettavano dal vento l’ordine preciso per solleticare il cielo. 
Tre passi li separavano. 
Al primo si scambiarono passione. 
Al secondo amore. 
Al terzo abbassarono gli occhi…

lunedì 1 ottobre 2018

Pit Stop No, non mi scorderò mai, niente di te...

No, non ti scorderò mai, non scorderò mai niente di te...
Sei entrato nella mia adolescenza, portato da mio padre, che ti amava, io con lui ti ho amato, ho cantato le tue poesie in musica, in macchina, quando avevo bisogno di bellezza nella voce e nei pensieri, ho trascritto i testi delle tue canzoni nei diari di scuola, ho i tuoi vinili, tutti o quasi, quelli registrati in italiano, a casa di mia mamma, un patrimonio che mai andrà ad altri. Ho recitato per me le tue canzoni, pensando che un giorno, forse, lo avrei fatto davanti a qualcuno. Armeno, in Francia, ti ho aspettato all'uscita del Teatro Comunale a Firenze, nel novembre del 2009, l'unica volta che ti ho sentito dal vivo, penso l'ultima che sei stato in Italia. Piccolo grande uomo, folletto da palcoscenico, non bello ma immensamente affascinante, voce unica, per un'unica Francia. 
Grazie per aver fatto parte di me e per...rappresentarmi così come ero, come sono, come sarò...


Scattiscritti Un raggio passa...

Foto di Annamaria Lucchetti 
Eppure, davanti al buio che avanza, un raggio passa, a modo suo tinteggia, a suo modo riporta respiro dov'era apnea. Prendo tempo, mi fermo, raccolgo, non so ancora cosa terrò e se terrò. Probabile non metta a memoria ma viva l'istante. Il presente reclama, il passato racconta, il futuro immagina. Resto nel mio, che a nulla di questo appartiene...