“ Lo
hai voluto te, io non volevo. Non mi piacciono questo tipo di cose, ma si sa, tu non lo accetti. No, non è che non ti amo, smetti dai
ti prego, sai bene che non è così. E’ che tutto questo continuare a salutarci mi
mette peso allo stomaco, mi mette vuoto nella testa. Non ha senso questo
procrastinare, tanto sappiamo tutti e due che non ci sarà un finale da film in
cui tu scendi dal lato opposto. Il treno parte e poi mi chiami e…”
Fu
silenzio tuo. Cosa avresti potuto dire
dopo se non quello che io avevo già detto?. Eri furbo tu, mi mettevi in circolo
la tristezza, il disagio della situazione
e poi lasciavi che, me lo smaltissi da sola.
Venne
il fischio del capostazione, le nostre dita si strecciarono rimase l’odore della tua mano sul mio palmo e
un poco di indolenzimento per essere stata in quella posizione con il braccio.
Ma questo fu solo percezione da un secondo. Non restai a vedere il convoglio
che lasciava la pensilina, non mi voltai , mi girai di scatto sulle suole me ne
andai. Con tutte le lacrime che mi
ingombravano il respiro, con tutto il mio chiedermi cosa avrei fatto in qui
minuti del dopo, in quelle ora rimaste dopo i saluti.
Firenze
stava lì a un passo, piccola nella sua magnificenza. Scansai valige rigide più
grandi di chi le portava, incrociai sguardi da arrivo e di partenza, passai in
mezzo a colorati gruppi di adolescenti in gita e occhi e sorrisi eccitati dei
primi turisti d’aprile. Uscii dalla stazione persi per Via Cerretani. Il tuo
silenzio mi ronzava nelle orecchie. Il tuo silenzio, compagno fedele del nostro
essere in due, del nostro amarsi profondo sempre detto troppo poco con un
semplice “ti amo. Io ero il nostro diario di bordo, la custode del nostro non
dirselo, la voce dei due. Tu eri il
parco: di idee, esternazioni, decisioni, proposte. “Pensaci te, tu sei più
adatta, sei tu la creativa, la vulcanica, la proponente”. Assuefatta nel ruolo
mi malgrado, portavo avanti il compito assegnato, per patto segreto di coppia,
per amore e basta. Arrivai in Piazza del Duomo con passo lento e distratto, al
caffè Scudieri ordinai un caffè e un dolcetto piccolo, di quelli da un boccone
di sommo gusto. C’era rumore di tazzine e brusio di voci in passaggio, c’era un
panorama di Duomo e Battistero a un passo. Ma quello per nostra fortuna c’è
sempre. Pagai e uscii, dando ai piedi la scelta della direzione: Borgo san
Lorenzo mercato. Cinquant’anni addosso e tanti ricordi di giovinezza messi insieme
nel passare in mezzo alle due file di quelle bancarelle, un tempo patrimonio di
ambulanti fiorentini ora di altri
sopraggiunti da lontano. Dove fosse arrivato il tuo treno in quel momento
provai a calcolarlo guardando l’orologio: quaranta minuti dalla partenza, un passo
all’arrivo alla stazione di Bologna. Ti vidi perso nei tuoi appunti sul tablet,
il cellulare accanto, gli occhiali sulla punta del naso.
Ti trovai
all’ingresso dell’ex mercato centrale. Eri sudato, l’impermeabile abbottonato
maldestramente, gli occhi brillanti per una stranezza a te sconosciuta
messa a segno. Mi ci vollero cinque
interminabili minuti per intrecciare di nuovo le mie dita tra le tue.
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