lunedì 14 aprile 2014

Scritture a quattro mani... Da 20lines "Weekend in Montagna"


  "Weekend in Montagna" di Hallyson M. e Giovanna Vannini




La meta era una superficie liscia ampia qualche metro ai piedi della cima appuntita di una montagna, la cui fama piena di storie sinistre...


Camminavano ormai da più di un'ora, la meta sempre più vicina. I passi trascinati risuonavano nel silenzio sollevando qualche sassolino, altrettanti ne sollevò il compagno di ventura poco dietro di lui. Uno per poco non gli finì dentro la scarpa. E questo sarebbe valso un ulteriore ritardo. Erano due amici inseparabili, quasi fratelli. Si odiavano e si volevano bene con la stessa frequenza. Uno - Alban - più loquace, pignolo e pratico, l'altro - Jordan - taciturno, distratto e maldestro. Agli antipodi, per questo inseparabili.
- Muoviti, pappamolle!
gli urlò, rantolando; era nervoso, niente stava andando come si era scritto su un foglietto stropicciato. Uno spiazzo li stava aspettando già da un po'.​ La meta era una superficie liscia ampia qualche metro ai piedi della cima appuntita di una montagna, la cui fama piena di storie sinistre ne aveva appesantito le pendici aspre e seghettate. Ad accompagnare il loro percorso, un tramonto dalla strana sfumatura cremisi. Alban non ci prestò attenzione; d'altro parere Jordan, che per poco non fece perdere altri secondi preziosi, fissando incerto quel panorama strano. C'era solo bosco attorno a loro: ettari di terreno lontano dalla mano artificiale e dannosa dell'uomo. La natura lì si era vendicata riprendendosi ciò che gli apparteneva: alberi e conifere nascondevano segreti e vita e chissà cos'altro! Una nebbia però celava l'orizzonte e si spandeva lentamente accompagnando il lento capezzale del sole. La salita causò un inevitabile affanno, che su Alban aveva un ritmo diverso rispetto a Jordan; più lento nel primo, più palese nel secondo. Ma ecco che quella salita era valsa a qualcosa: il piazzale sgombro e circondato da alberi e natura si palesava, pronto ad accogliere la loro unica tenda, la loro avventura.

Si ritrovarono senza parole. Per Alban fu più difficile, per Jordan normalità. L'aria era così ossigenata da levare il fiato. La natura non lasciava spazio a nessun altro senso se non quello dell'ammirare, in silenzio rapiti ognuno dei due a suo modo; prendendo, riconsegnando.
Ad Alban la troppa emozione metteva ansia, doveva migrarla fuori dal suo involucro, esorcizzarla al più presto con il fare.
" Forza, fuori la tenda e accampiamoci, prima che faccia tramonto, prima che la temperatura cali"
Jordan non ebbe il cuore di replicarli, avrebbe volentieri atteso ancora, goduto di quell'arrivo tanto bramato, ma l'incalzante cantilena di Alban sui compiti da dividersi, lo smontò all'istante.

Nel proseguire delle ore il paesaggio montano divenne quasi avverso, i contorni dei crinali si stagliano minacciosi nel blu indaco e le ombre della vegetazione mossa dal vento, ad ogni folata disegnavano strane figure.
Per paura di mostrarsi ridicolo all'altro, entrambi tacquero ​quel preciso sentire, consumando senza incrocio di occhi, la cena frugale, seduti in terra appena fuori l'ingresso della tenda, ascoltando i rumori del silenzio. Poi Jordan, interruppe quell'atmosfera pesante come i macigni che li circondavano.
"Che ora si è fatto?"
"Appena le nove"
"Credevo più tardi"
La nebbia infittiva, la notte metteva a buio pesto...

Rintanati nei sacco a pelo, fermi, schiena a schiena, trascorsero quella prima notte. Non seppero se avevano dormito, non so le domandarono al risveglio, nessuno dei due provò a scuotere l'altro nel sonno per accettarsene, e, in caso, mettersi a chiacchiera .
Jordan si alzò per primo e vide Alban ancora addormentato, almeno nel tempo in cui il sole andava in nascita. Aprì piano la cerniera della tenda per non disturbare l'amico, solo per se si accaparrò la meraviglia di quel risveglio da Eden. L'aria ancora fredda della notte, gli schiaffeggio il volto assonnato e il silenzio sembrò comprimergli i timpani. Infagottato dalla cintola in giù nel sacco a pelo, si trascinò fuori, prese l'acqua dalla borraccia, la mise a scaldare nel bricco di latta sul fornelletto, dallo zaino delle provviste tirò fuori il caffè solubile e il pacco di biscotti preferiti da entrambi. Ne inzuppò uno alla volta, intingendo con quelli la punta delle dita fredde per rianimarle.
"Potevi svegliarmi!"- disse Alban con il suo solito ghigno da ogni ora del giorno-
Senza badargli Jordan mise altra acqua sul fuoco, prese altro caffè e altri biscotti. Come gli fosse dovuto Alban attese la sua colazione...

Consumarono la colazione a ritmi diversi: Jordan con flemma assonnata, Alban con agitazione. La nebbia non gli era mai piaciuta, la odiava - come odiava l'odore del talco, che lo faceva starnutire a non finire! Solo che lì c'erano solo loro due e niente che c'entrasse col talco. Alban fissava insistente la nebbia come a volerla far rarefare così, per magia. Impossibile. Jordan, accortosi della stramba espressione che si era dipinta sul volto dell'amico, iniziò a ridere sguaiato.
- Sei assurdo Al, hai la stessa espressione concentrata di quando vai in bagno!
Secco e conciso, semi-serio salvo poi riprendere a ridere con gusto, dando qualche spintone scherzoso alla sua spalla - che per poco non fece rovesciare il suo caffè!
- Ma che cavolo! Sta' attento!
Permaloso si mise a sbuffare, mentre nella distesa di conifere e natura, tra il cinguettio particolare di una civetta e quello di un pettirosso mattiniero la nebbia avanzava, fitta e silenziosa. Tutto per Alban era sempre più sinistro - alimentato da dicerie riguardanti il posto in cui si trovavano. Jo, calmatosi, riprese anche a fissare l'amico notandolo teso.
- Non hai dormito bene? - gli chiese, perplesso.
- Mh... è che... il panorama è bellissimo ma questo posto... - esitò, deglutendo un pezzo di biscotto - ... mette i brividi! - ecco, l'aveva detto. Si strinse nella coperta che ancora avvolgeva le sue spalle, tirando su col naso.
- Non dirmi che credi alle voci che girano su 'sto posto: a quei ragazzi scomparsi, a quella ragazza morta... - non concluse; lo sguardo intimorito di Alban era più eloquente di mille parole.

Bastò qualche ora e la nebbia abbracciò tutto il panorama, azzerando l'orizzonte. Un intenso muro grigiastro creava un ostacolo non indifferente per gli occhi dei due ragazzi; Jordan non fece una piega, Alban visse quell'arrivo inevitabile con una angosciante smania, che lo rese a dir poco antipatico. - Diamine Alban, non puoi essere così cacasotto! - sbottò inasprito l'amico coraggioso, mentre era intento a raccogliere qualche tralcio d'albero con cui accendere un focherello per la notte. Non lo guardava, ma il tono era fulmineo come un'occhiata. Secco ma inevitabile.
- Si papà, seguirò il tuo consiglio! - ironizzò il pavido Alban, intento anche lui a raccogliere rami e rametti e anche mirtilli grandi come acini d'uva. Una delizia immacolata! Loro, che di città ne avevano fatto indigestione non potevano non tagliarsi un lungo fine settimana immersi nella natura... Poco importavano le dicerie!
Alban dando le spalle a Jordan continuava a fare il suo, quand'ecco che qualcosa colpì il centro della propria schiena. Trasalì e le mani persero la stretta sul lembo inferiore della maglietta che accoglieva i mirtilli, facendoli cadere a terra. - Ma che diamine, Jordan! - ruggì arrabbiato, girandosi pronto a dirgliene quattro all'amico.

Ma lui non c'era.
- Bhè, prima tiri il sasso poi ti nascondi? Sei un bambino! B A M B I N O! - Scandì lettera per lettera, uno spelling carico di sarcasmo. - Dai, esci allo scoperto! Non è divertente il tuo giochino! - Continuò quel monologo, che nell'aria ritrovava solo il suo eco. Ma di Jordan, nulla.

Il susseguirsi delle ore in quell'atmosfera che dal mondo reale pareva allontanarsi di minuto in minuto, aveva messo i due ragazzi in confusione, tanto da avvicinargli il giorno e la notte, da unirli in un unico, stretto, passaggio. E la nebbia, che ogni cosa nascondeva disorientando, contribuiva a rendere quel weekend fuori da l'immaginario...
Alban risentì nelle orecchie il tonfo della botta sulla schiena, percepì di nuovo il silenzio padrone indiscusso del luogo, riprovò, ora con la voce esile e impaurita, a richiamare l'amico.
"Jo...Jordan, dai vieni fuori! Ora basta...- centellinando le parole, soppesandone le sillabe-
Nulla. I mirtilli giacevano a terra. Una macchia rossa davanti ai suoi occhi, l'unica immagine ben visibile in quel grigio fumoso. La spavalderia di Alban stava andando in frantumi. Sentì freddo sentì paura, ma sopratutto si sentì solo.
Poi fu vento, impetuoso e dirompente. Si ritrovò a terra, con le braccia a farsi scudo sul volto, con la gola in singulti pronta a dar sfogo al pianto. Non avrebbe mai voluto che qualcuno lo vedesse in quello stato, primo fra tutti Jordan. 60 secondi, da contarsi uno ad uno, dove la nebbia parve non essersi mai manifestata e un cielo terso e un'aria mite, essere gli unici protagonisti.
"Alban"- -disse con un fil di voce Jordan toccandogli appena la spalla-
Alban sussultò in preda al panico​ indietreggiando sul terreno.
"Calmati sono io Jordan"- proseguì leggendogli il terrore negli occhi-
Poi fu ancora silenzio, quello degli sguardi complici, quello del capirsi nelle viscere dell'anima, quello che sa cosa potrà raccontare e cosa trattenere per sempre in...silenzio. 


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