Le
mie “impressioni in penna” nascono dal desiderio di far migrare nella scrittura
quello che l’anima ha visto, digerito, rielaborato. Perché a modo mio resti…
"Impressioni in penna" della Mostra fotografica di Fosco Maraini: “SAPPORO, I GIORNI ALL’UNIDICESIMO VIALE” Museo di Storia naturale, Sezione di Antropologia Etnologia di Firenze.
Un
Museo antico, quello che ospita la Mostra Fotografica di Fosco Mariani, ubicato
all’interno dei uno dei meravigliosi palazzi che rendono Firenze unica al
Mondo. Qui, tra queste sale, all’interno di bacheche dai profili in legno e i
vetri molati alte fino al soffitto, trovano spazio i resti di antiche civiltà a
noi lontane, ma dalle quali tanto del nostro presente abbiamo carpito.
Mentirei
se scrivessi che conoscevo Fosco Maraini, la sua storia, la sua passione per il
viaggio, per la terra nipponica. Un percorso di vita il suo affascinante (
almeno a quanto leggo nelle brevi note biografiche all’inizio della mostra), che
l’ha portato ad “impressionare” non soltanto con le parole ma anche con
l’obiettivo, luoghi e persone, per costruirsi e regalare una memoria
d’immagini, fermare nello scatto il ricordo. Di questa mostra fotografica sono
gli Ainu di Hokkaido gli assoluti protagonisti, e il mistero del “rito
dell’orso”, che Fosco Maraini ci mostra con le sue foto, perpetuando anche lui
un rito, quello di aver immortalato il
su detto più volte a distanza di anni, cercando di carpirne le differenze, le
sfumature, l’atmosfera che non si vede ma si sente, assistendo alla cerimonia
come lui ha fatto. Quasi ogni foto riporta sotto la sua spiegazione, a sottolineare
come le immagini vadano a braccetto con le parole scritte; dove l’occhio non
vede la parola lo accompagna, dove la parola necessita dell’occhio, per esser
vista. Pochi gli scatti a colori, perché il bianco e nero è sufficiente per
catturare lo spirito di quei momenti conviviali, di quei frammenti rubati al
quotidiano; nell’espressione dei volti,
negli atteggiamenti regali del capo del
villaggio. Il percorso della mostra si snoda nelle varie sale del Museo. Se potessi
le riunirei tutte insieme le foto, proprio per gustare al meglio il mutamento
d’atmosfera che Fosco Maraini ha riscontrato nei diversi anni in cui le ha
scattate. Per questo nel mio osservare sono andata avanti e indietro nelle
sale, rileggendo con cura le date, riosservando le figure catturate nello scatto. E nonostante i decenni
intercorsi tra una serie e l’altra, ho avuto l’impressione, la sensazione, che il tempo si fosse fermato; nei sorrisi,
nelle lunghe barbe bianche dei vecchi, negli abiti, dalla stessa foggia e dalle
medesime decorazioni. Nella breve carrellata di ritratti esposti, quello di un
giovane Ainu mi colpisce. E’ un sorriso sincero il suo, di certo non costruito con
malizia in virtù dell’obiettivo. Eppure la vita per questa etnia, deve essere
stata tutt’altro che facile e la loro quasi completa estinzione ne è la
conferma. Mi piace quando leggo nelle note didascaliche di Fosco Maraini che
per gli Ainu la casa non è solo nido ma
luogo di culto, un personale santuario, dove ritrovarsi con se stessi e con la
comunità, alla fine di ogni giornata. Nelle barbe canute, nei segni del tempo
che come solchi segnano indelebili i volti e le mani degli anziani del
villaggio, leggo una “sua” filosofia, fatta di semplicità, accolta sofferenza,
condivisone continua e naturale con i propri simili.
Scendo
lo scalone del palazzo, mi immetto nella strada. Un brulichio di suoni e rumori
mi riporta in questo qui, in questo ora così diverso, così…globale. Devo
tuffarmi più spesso nelle nuove conoscenze del passato! Mente, anima e spirito, ringraziano.
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