lunedì 11 giugno 2018

Da 1000 a 4000 battute spazi inclusi Per me Enrico




La politica l’avevo sempre seguita poco. Sapevo come si votava in casa, parlavamo di politica affrontando temi diversi: attenzione verso il sociale, mettere in pratica la solidarietà, rispetto per i più deboli e i diversi. Quando mio padre morì, alla giovane età di 49 anni, tra le sue cose trovammo un quaderno che riportava cifre in denaro generosamente prestate, con tanto di motivazione: per risanare un debito, per dare un po’di ossigeno ad una attività in difficoltà, per comprare una cane da tartufo a un tartufaio. A persone impensabili, erano stati devoluti questi aiuti economici. Qualcuno dopo, venne a dirci, venne a restituire. A nessuno noi chiedemmo. Questo perché, dovevamo sentirci fortunati per ciò che avevamo e per come il lavoro, costante e ben retribuito, ci stava permettendo una vita più che dignitosa. Senza mai dirlo a parole, così, lui, mi ha trasmesso. In casa Mario Vannini prima e Giampaolo Vannini dopo, si votava Partito Socialista, non quello di Craxi, per carità, ma quello di Nenni, di Saragat. Se fosse vissuto quanto gli spettava, all'avvento di Craxi, mio babbo sarebbe passato ad Enrico. Non ho dubbi, potrei giurarlo. Quando ho conosciuto mio marito Marco, ho conosciuto quella politica che si faceva nelle piazze, nelle manifestazioni, nei circoli di base, nelle feste paesane, nei testi impegnati dei cantautori. Marco andava con suo padre Guerrino, la domenica mattina, a distribuire il giornale  "l’Unità", nelle case. Con lui, con loro, ho conosciuto davvero e apprezzato Enrico Berlinguer, un Signore della politica, così discreto, così riservato. Poche parole molti contenuti. Sicuro del suo credo così tanto, da non aver bisogno di enfatizzarlo. Avvicinarsi a Berlinguer fu scontato, naturale, doveroso, necessario. In un famoso pezzo di Giorgio Gaber: “Quando eravamo comunisti”, che per mia immensa fortuna ho sentito per ben due volte interpretato dalla grande Mariangela Melato, c’è questo passaggio: “…Ero comunista, perché Enrico Berlinguer era una gran brava persona…” Ecco, potrei fermarmi anche qui. Troppo pochi gli anni che ho avuto per apprendere di lui, per entrarci in confidenza. Per me resta e resterà per sempre, uno dei migliori uomini politici avuti, al di là di come la si pensi. Strumentalizzare la figura di Enrico Berlinguer, come troppo spesso avviene, è un atto vile, sconsiderato, irrispettoso, da qualsiasi parte avvenga. Rivendicare il suo pensiero e la sua posizione, in pensieri o posizioni di oggi, pure.

Ricordo come fosse adesso, l'aria che si respirava alla Festa dell’Unità di Firenze, alle Cascine, pochi mesi dopo la sua morte. Tutto, era un omaggio a lui e persino la confusione tipica della manifestazione, sembrava scusarti per esserlo. Ricordo le rinnovate lacrime condivise con Marco, davanti al maxi schermo che rimandava le immagini del suo funerale. Le riprese dall'alto mettevano commozione e paura, per quella Roma oceano di gente, arrivata da ogni angolo recondito d’Italia. Mio suocero c’era, fu presente, faticò a raccontare e ancora fatica a farlo. 
Caro Enrico, non posso che ripensarti con stima e affetto, per quello che di te dentro me è rimasto: la tua impronta politica, il tuo modo gentile di farla, il tuo timbro di voce discreto. Chissà cosa, chissà come…Aldo Moro e te. Nulla di mai visto, mai sarà visto. 
Resta un’immaginare, un’utopia. 
Mentre nel mare, si aspetta un porto. 

Ciao Enrico…

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